L'argomento che, in questi giorni, tiene inevitabilmente le redini dell'editoria e del giornalismo in generale è il cosiddetto "Coronavirus" o COVID-19, per essere più precisi. Personalmente parlando, non sono un medico o un virologo, ma ho deciso ugualmente di parlare di questa particolare situazione, a modo mio, con gli strumenti che mi sono propri e nell'ambito che mi appartiene: la psicologia. Ciò che sta succedendo nel mondo e in Italia negli ultimi giorni ha, inevitabilmente, un grosso impatto sulle nostre vite. Si parla di misure straordinarie e di direttive che provengono dai più disparati canali; come ho detto non mi occupo di virologia ma c'è un particolare in questa vicenda che mi è proprio e di cui mi sento di parlare: la paura. La malattia è sempre stata, storicamente, una delle situazioni che maggiormente attiva il nostro istinto di sopravvivenza perché si tratta di una problematica sulla quale abbiamo l'impressione di avere un controllo minore e possibilità di difesa ridotte. Per questo "temiamo" la malattia. Il timore, o paura che dir si voglia, non è altro che un meccanismo di autoconservazione, il cui principale scopo è proprio quello di tenerci al sicuro. E' molto simile a quando dobbiamo attraversare la strada: controlliamo sia a destra che a sinistra prima di passare, perché sappiamo che potrebbe arrivare un'auto e colpirci, con effetti potenzialmente fatali. La paura per il Coronavirus funziona nello stesso modo. Come ogni emozione, anche la paura ha livelli accettabili e non accettabili. L'eccesso di una qualsiasi emozione porta inevitabilmente ad una mancanza di equilibrio che ci conduce ad agire in maniera "impropria". La paura, nello specifico, è un'emozione dalle potenzialità enormi, tanto da poterci convincere di ciò che, razionalmente, potremmo indicare come sbagliato o "non vero". In un post precedente avevo parlato della correlazione tra ansia e paura ma in questo specifico scritto vorrei concentrarmi sulla paura nei confronti del Coronavirus. La nostra mente è impostata per sopravvivere, per tenerci al sicuro al di là di ogni ragionamento logico mettendo in atto delle strategie, anche eccessive, pur di ottenere il suo obiettivo. Essendo una risposta adattiva ad uno stimolo esterno percepito come pericolo, la paura gioca contro la nostra quotidianità dipingendo "chiunque" come una potenziale minaccia, poiché non è possibile anticipare chi potrebbe essere "infetto" e quindi portatore di un pericolo invisibile. Ironicamente, mi piacerebbe utilizzare un'espressione facilmente udibile qui a Roma, specialmente nei luoghi pubblici, di fronte ad uno starnuto o ad un colpo di tosse. "Eccaallà", che si può tradurre in italiano con: ecco fatto, ormai siamo spacciati. Per quanto colorita e particolare, questa espressione racchiude un po' il nocciolo del discorso che stiamo affrontando: chiunque può diventare un pericolo, in qualsiasi momento e senza alcun preavviso. Questa incertezza sull'origine della minaccia è ciò che ci costringe ad una sorta di stato di "attivazione" prolungato, che inevitabilmente conduce all'ansia e a reazioni mirate a diminuirla, come il riempire la dispensa di cibi a lunga conservazione. Il punto fondamentale è che avere paura è normale, in questa situazione. Quel che si può fare è cercare di rimanere quanto più possibile "razionali". Una reazione normale è la ricerca compulsiva di informazioni per cercare di ridurre l'ansia ma si tratta di un'arma a doppio taglio, perché quel che si trova potrebbe non essere completamente attendibile e/o prolungare lo stato d'ansia. Verificare le fonti è sempre una buona idea, ma anche in questo caso l'ansia potrebbe non diminuire. Quindi? Attenersi alle indicazioni dell'Istituto Superiore si Sanità è un buon punto di partenza, cercando di tenere a mente che farsi prendere dal panico potrebbe persino peggiorare la situazione. Chiedere aiuto è un'altra buona idea. Molti specialisti si sono attivati per fornire supporto a lunga distanza, in modo di ridurre i rischi di contagio: io sono tra questi. Già da tempo ho attivato un servizio di intervento psicologico online tramite Skype e WhatsApp, per aiutare le persone che hanno bisogno di sostegno psicologico ma sono impossibilitate a raggiungermi nel mio studio. In questo momento di difficoltà e di timore, tale servizio può essere la chiave per riuscire a contenere l'ansia e la paura, senza esporsi a rischi di contagio. In conclusione, vi lascio anche il collegamento per leggere le indicazioni dell'Istituto Superiore di Sanità a riguardo. Così potremo combattere la paura insieme.
0 Commenti
Un aspetto che, culturalmente, appartiene a noi italiani è la convinzione che gli uomini, più precisamente le persone di sesso maschile, non abbiano bisogno di sostegno o supporto. Devono farcela da soli. Da psicologo e, ancor prima da uomo, posso facilmente ricordare decine di esempi in cui, più o meno implicitamente, si è preteso che io mi tenessi i miei sentimenti dentro e resistessi a ciò che mi accadeva. Non c'era bisogno di qualcuno che lo dicesse apertamente o di sottili incitamenti, quella sensazione era semplicemente onnipresente, persino quando nessuno stava effettivamente pensando quelle cose. Era culturalmente presente. Sin da piccoli ci vengono proposti dei modelli culturali che sono sessualizzati. Esempi sono nelle frasi di uso comune: "non fare la femminuccia", "sei un ometto", "comportati da uomo" ma è facile trovarne molti altri. Questi termini non sono offensivi e culturalmente condizionanti solo per gli uomini, lo sono indirettamente anche per le donne che vengono, quindi, dipinte come fragili e bisognose di aiuto (ma questo argomento, che è forse persino più complesso, sarà l'oggetto del mio prossimo articolo). L'immagine dell'uomo saldo e impassibile di fronte al dolore e alle difficoltà è talmente radicata nella nostra mente che ci risulta quasi normale aspettarci che ciò si avveri, negando che un uomo possa soffrire e desiderare d'essere aiutato. Questa convinzione, più o meno intrinseca, è anche uno dei motivi per cui gli uomini spesso evitano di cercare aiuto psicologico o anche solo quello degli amici, liquidando la questione con frasi come "ce la faccio", "non ho bisogno di aiuto" e altre esaltazioni di un'onnipotenza maschile figlia del passato dove la parità dei sessi era inesistente. Fantasmatica, nella migliore delle ipotesi. La verità è che gli uomini, come le donne, hanno ogni diritto di stare male psicologicamente, di sentirsi in difficoltà e di richiedere, quindi, aiuto. E' semplicemente normale, anche se non ce ne rendiamo conto. Ci viene insegnato a non accorgercene, sin dalla tenera infanzia, in cui si opera una vera e propria selezione dei comportamenti in base al sesso. Per quanto sia vero che ci sono delle differenze tra i sessi, non sono certo quelle emotive ad essere caratterizzanti. Ho parlato dello "stigma" sociale del ruolo e della prigionia che ne deriva in un altro mio articolo precedente. Ciò che mi preme sottolineare oggi è invece come sia necessario superare questa ottica che definisce la nostra esistenza privandoci di alcune libertà inalienabili dell'individuo, come il sacrosanto diritto di essere aiutati. Non c'è alcuna vergogna o debolezza (tale parola, curiosamente, viene sempre più spesso usata da mie clienti di sesso femminile, ma di questo parleremo in un'altra occasione) nel sentirsi vulnerabili e bisognosi di una mano. A volte, la vera forza è riconoscere i propri limiti e non lasciare che un ruolo che ci è stato cucito addosso diventi inevitabilmente una condanna e un eventuale limite alla nostra felicità. Conoscete persone intrappolate dal loro ruolo sociale? Scrivetene qui sotto se desiderate condividere le vostre esperienze. Se invece non sai come chiedere aiuto: Vorrei parlare di un tema relativamente diffuso all'interno della nostra società: la convinzione che lo Psicologo sia una sorta di "medico dei matti". Siamo di fronte ad un luogo comune che, però, si è molto radicato nel pensiero comune del nostro paese, a discapito di una prevenzione sulla salute mentale che è considerabile di primaria importanza. Già molto prima che diventassi lo Psicologo che sono, mi capitava di sentire con una certa frequenza frasi come: "No, che ci vado a fare dallo Psicologo, mica sono matto" oppure "Quello va dallo Psicologo, deve avere qualche rotella fuori posto". Sono abbastanza sicuro che molti di coloro che leggeranno questo post potranno ricordare un'esperienza simile. Il farsi aiutare da un professionista della salute mentale è spesso visto e vissuto come uno stigma, una plausibile minaccia alla propria integrità sociale. Per questa ragione vi è una forte, fortissima resistenza al rivolgersi agli Psicologi in periodi di forte difficoltà personale. Tale convinzione ha radici profonde ed è spesso diffusa nelle generazioni più avanti con l'età che sono ancora legate ad una visione del proprio "Io" associato con un ruolo sociale strutturato e quasi ineludibile (Casalinga, padre di famiglia, lavoratore, "uomo tutto d'un pezzo"). Questo stigma, o pregiudizio se preferite, ha spesso impedito alle persone di chiedere aiuto quando sarebbe stato necessario, esponendole a una sclerotizzazione di problemi che sarebbero stati più semplici da affrontare, con conseguente sofferenza psicologica. Ma quindi, lo Psicologo cura i matti? E' vero che è spesso impiegato in ambienti dove sono coinvolte persone con evidenti disturbi mentali di stampo patologico (come negli SPDC, Servizi Psichiatrici di Degenza e Cura) ma ingabbiare tale classe di professionisti in questa etichetta è riduttivo. Lo Psicologo è, innanzitutto, un professionista della salute, una persona preparata per affrontare le difficoltà personali del cliente e fornire nuove chiavi di lettura e strategie per riuscire a contenere e/o superare tali problematiche. In epoca moderna gli Psicologi hanno trovato metodi variegati per proporre le loro competenze, spaziando dall'ambito medico fino a quello mediatico, ma lo stigma è rimasto inevitabilmente aggrappato al primo dei due. Un confronto che, spesso, viene frainteso è quello dello Psicologo di fronte al Medico classico. Nell'immaginario comune, lo Psicologo è qualcuno che occupa delle "malattie", proprio come la sua controparte medicale, e quindi è inutile rivolgerglisi se non si ha tale "patologia". Come già spiegato, questo raffronto è parzialmente errato e sicuramente riduttivo. Tale paragone ci può, però, fornire un piacevole gancio per dare allo Psicologo una dimensione più realistica, infatti spesso si dimentica che il Medico è anche e soprattutto un professionista della prevenzione. Ed è proprio questa una delle principali attività dello Psicologo Clinico. Lo Psicologo può e deve agire in termini di prevenzione, impedendo che una semplice ansia possa tramutarsi in un disturbo di ansia generalizzato, prevenendo la trasformazione in paranoie di quelle che potrebbero rimanere semplici preoccupazioni. "Ce la posso fare da solo". Ho spesso sentito anche obiezioni di questa tipologia, rispettabili e giuste, ma non è sempre semplice capire il limite oltre il quale è necessario chiedere aiuto. La determinazione è sicuramente una dote di tutto rispetto, ma il saper capire quando ciò che si ha di fronte è semplicemente troppo è segno di grande saggezza. Tale saggezza e lungimiranza merita altrettanto rispetto e celebrazione. La consulenza psicologica è spesso vista come una "trappola spilla soldi", ma spesso si perde di vista la necessità di eliminare una difficoltà prima che si trasformi in problema (cosa che, economicamente, può essere anche di maggiore incidenza). Con un'adeguata prevenzione, si può facilmente raggiungere un obiettivo in tempi relativamente brevi. Di questo argomento parlerò in un futuro post, in maniera più esaustiva. Credi di essere arrivato al limite e non sai cosa fare? Molto spesso l'ansia viene definita come il "male del secolo", dandole una connotazione di diffusione ed incidenza nella vita di tutti i giorni. La rete è piena di immagini e citazioni che parlano di ansia in modo tragicomico, descrivendo con ironia un qualcosa che è inevitabilmente serio e di interesse. Ma cos'è l'ansia? L'ansia non è altro che una reazione legata ad una difficoltà di adattamento ad uno sviluppo o ad una situazione che causa quindi una sensazione di disagio e paura derivante dallo stress dovuto a tale mancato adattamento. Ovviamente si parla esclusivamente dell'aspetto psicologico dello stato definito in scienza come "ansia". La paura è una risposta adattiva ad uno stimolo esterno che viene riconosciuto come un "pericolo" e quindi attiva il sistema nervoso in modo che possa difendersi; l'ansia in tal senso è una derivazione con una funzione simile. La differenza principale tra le due situazioni è dovuta al fatto che la paura è generalmente focalizzata su uno specifico stimolo, mentre l'ansia risente di una certa "aspecificità". Gli stati di forte ansia sono spesso accompagnati da sintomi fisici quali tachicardia, ansia e respiro corto. Se consideriamo lo stato psichico d'ansia, quindi, non è considerabile come esclusivamente dannoso. E' stato infatti valutato come l'ansia possa essere una risposta che tenda a preservare l'organismo da situazioni potenzialmente dannose. Il problema sopraggiunge quando l'ansia diventa uno stato cronico, del quale non ci si riesce a liberare. Alti livelli di ansia possono compromettere alcune funzioni sociali e comportamentali, danneggiando la nostra vita di tutti i giorni. Combattere questo stato può essere sfiancante, oltre che estremamente complesso. In Italia, la diffusione degli stati d'ansia è plausibilmente legata anche alla costante sensazione di instabilità politica, sociale ed economica del paese, cosa che rende molto difficile il sentirsi "al sicuro", dando ampio spazio a varie forme di preoccupazioni, soprattutto verso il futuro. Questo aspetto non è altro che la punta dell'iceberg, considerando che l'ansia può derivare dall'osservazione dell'ansia altrui, ed avere radici molto differenti. Uno studio del 2013 (Budinger, Drazdowski, Ginsburg) pare mettere in luce come questo stato psicologico possa essere "appreso", ma questo sottolinea anche la possibilità di invertire il processo con una dovuta terapia o modifica del proprio assetto psicologico. Per combattere l'ansia non esiste una strategia specifica e non ci sono tecniche infallibili, come spesso accade in psicologia. Numerosi studi sottolineano come alcune attività possano favorire una riduzione dell'ansia, tra i più interessanti cito quelli che combattono tale stato con l'alimentazione (una dieta a base di carboidrati aumenta la serotonina, una sostanza che favorisce la riduzione dello stress. Si consiglia moderazione in tale campo, considerando gli effetti collaterali di una dieta ricca di carboidrati), l'esercizio fisico e la cura delle relazioni personali. Personalmente parlando, prediligo un approccio volto al riesame del proprio modo di pensare, basato su strategie di regolazione emotiva. Numerosi studi sottolineano infatti che le strategie di regolazione emotiva (Emotion regulation strategies) hanno un'incidenza significativa sulla riduzione dello stress e, di conseguenza, sugli stati d'ansia. Soffri di ansia continua e non sai a chi rivolgerti? Per il primo post di questo blog mi piacerebbe iniziare con un argomento di attualità nel mondo della psicologia italiana e mondiale. Il cambiamento dei mezzi di comunicazione è finito per influenzare la vita di tutti i giorni in maniera marcata ed evidente, tutti possiamo renderci conto di come le tele-comunicazioni siano entrate nella nostra vita. Questi mezzi permettono di connettere persone vicine e lontane con estrema facilità, abbattendo qualsiasi tipo di barriera architettonica e di distanza. Siamo arrivati al punto che, quando non sappiamo qualcosa, finiamo tutti per rivolgerci a Google e Wikipedia, è un'operazione quasi automatica e naturale. Questa continua evoluzione della rete influenza davvero il mondo dell'intervento psicologico? Il quesito non è di semplice risposta, tanto che il CNOP (Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi) ha istituito, nel Settembre del 2014, la Commissione atti tipici, osservatorio e tutela della professione il cui obiettivo è proprio quello di monitorare lo stato dell'arte della professione psicologica e definirne i cosiddetti atti tipici. Tale commissione, nel 2017, ha pubblicato un documento di vitale importanza a riguardo: Digitalizzazione della professione e dell'intervento psicologico mediato dal web. In questo documento vengono definiti i limiti e le potenzialità dell'intervento psicologico tramite i moderni mezzi di comunicazione, aprendo di fatto un mondo di possibilità per raggiungere coloro che avrebbero bisogno di un sostegno ma non possono usufruirne per motivazioni di vario genere come le barriere architettoniche, caratteristiche psicologiche specifiche ed altre componenti che impediscono all'utente di incontrare fisicamente il professionista psicologico di cui abbia bisogno. Altro fattore di non poca importanza è l'immediatezza con cui è possibile intervenire, anche a grandi distanze, con il professionista adeguato ad ogni tipo di necessità. Lo Psicologo non sarebbe più qualcuno da raggiungere il passaparola, ma diventerebbe quindi un professionista di cui si potrebbero trovare tutte le informazioni online, confrontandole con le proprie specifiche preferenze e sarebbe possibile raggiungerlo in modo quasi immediato, ovunque egli sia. Non è tutto oro quel che luccica, ovviamente. Ogni strumento è potenzialmente utile o pericoloso a seconda del come lo si usa, e questo tipo di intervento non fa alcuna differenza. Questo metodo di selezione espone infatti l'utente e lo psicologo stesso ad alcuni rischi, legati principalmente alla trasparenza delle informazioni, ai limiti e alle capacità d'utilizzo dei software coinvolti e alla mancanza di una regolamentazione sull'utilizzo di tali tecnologie. Il mondo della rete è, inoltre, regolato da logiche di tipo commerciale, che rischierebbero una mercificazione del servizio, a discapito della sua funzione prettamente sanitaria. Ciononostante, l'opportunità di esplorare questa nuova dimensione va colta, anche solo per sperimentare nuovi metodi di intervento. Per questa ragione ho deciso di farmi pioniere in questo ambito e di sperimentare questa nuova, innovativa, forma di comunicazione e di intervento che mi ha già dato un certo numero di soddisfazioni. |
Details
Dott. Federico ValeriPsicologo Clinico e scrittore per diletto. Appassionato lettore, è impegnato nella diffusione della Psicologia sul territorio romano e della relativa provincia. Archivi
Gennaio 2020
Categorie |